Il mio incontro con la Psicoterapia Sensomotoria
Sono venuta a conoscenza della psicoterapia sensomotoria durante un’intervisione, grazie a delle colleghe. Fin da subito ho sentito che era un approccio affine a me: rispettoso delle persone e del modo in cui esprimono il loro stare al mondo.
Ho sempre ritenuto fondamentale considerare gli altri come nostri pari: individui che cercano di vivere al meglio delle proprie possibilità, secondo la loro posizione nella realtà e la storia personale di cui sono portatori.
I principi della terapia sensomotoria sono molto vicini all’approccio della mia prima formazione, quello costruttivista-ermeneutico, che pone l’accento sulla costruzione dei significati da parte del paziente. Questo modello considera la persona come il massimo esperto di sé e valorizza profondamente la relazione terapeutica.
Molti principi della psicoterapia sensomotoria rispecchiano gli assunti del costruttivismo, e per questo mi sono sentita “a casa”. In particolare, il concetto di “unità” è per me vicino all’idea di costruzione condivisa dei significati, pur riconoscendo le diversità individuali legate ai contesti di vita.
Il principio della non violenza rappresenta un’attenzione autentica all’altro, un rispetto profondo delle sue diversità, da accogliere con curiosità e apertura: proprio come ciascuno di noi desidererebbe sentirsi accolto, soprattutto in un contesto di cura.
Un altro principio che ho sentito mio è quello dell’organicità, intesa come riconoscimento delle risorse insite nella persona, anche nella sofferenza. Un’intelligenza interna, come direbbe Bateson, capace di attivarsi e trovare risposte: noi terapeuti possiamo solo facilitare questo processo.
Ho sempre creduto in un approccio olistico, che consideri corpo, mente e spirito come elementi in costante interazione. Nonostante questo, sentivo di non avere strumenti adeguati per avvicinarmi al corpo anche nella pratica clinica. Prestavo attenzione al contesto e alla comunicazione verbale, ma non abbastanza al corpo del paziente.
La mia sensibilità verso la corporeità è cresciuta dopo le mie gravidanze e un master nell’area del maternage, durante il quale ho praticato Rio Abierto. Lì ho compreso quanto fosse importante portare attenzione ai corpi presenti nella stanza terapeutica e riprendermi cura del mio.
Ho iniziato a valorizzare il mio benessere corporeo: indossare abiti morbidi e caldi, regolare la temperatura dell’ambiente, scegliere sedute comode. Ho capito quanto fosse importante ascoltare i miei bisogni fisici per stare meglio con me stessa e nel mio lavoro.
Attraverso un percorso di formazione in mindfulness e mindfulness-compassion, prima, e poi grazie alla psicoterapia sensomotoria, ho imparato ad ascoltare il mio corpo. Ho scoperto quanto fosse bloccato, controllato, ingabbiato da meccanismi che mi avevano aiutata a sopravvivere, ma che mi impedivano di rilassarmi. Sto ancora lavorando su questo.
Per questo ho deciso di riprendere a praticare danza contemporanea, con un’insegnante che lavora sull’espressione corporea delle emozioni, e ho iniziato una terapia personale con una collega che utilizza l’approccio sensomotorio.
Nel mio lavoro di terapeuta, considerare tutte le componenti dell’esperienza — non solo quelle cognitive — mi ha permesso di comprendere meglio come ogni persona si è organizzata a livello sia mentale che corporeo.
Grazie agli strumenti che sto acquisendo, riesco ad accompagnare i pazienti nell’esplorazione del proprio stare nel mondo, con il corpo oltre che con le cognizioni. Cerchiamo insieme le risorse somatiche più affini a ciascuno, sviluppando l’ascolto di sé.
Penso, ad esempio, a una paziente con un passato di disturbi alimentari e binge eating come risposta alle emozioni difficili. Il lavoro fatto insieme, con un approccio mindfulness, le ha permesso di ascoltarsi e scoprire una risorsa corporea: abbracciarsi come gesto di cura. Questo gesto la sta aiutando ad affrontare momenti difficili e a rivalutare il proprio corpo.
Oggi osservo il corpo dell’altro con maggiore attenzione e curiosità, cercando di accoglierlo anche attraverso piccoli gesti: offrire poltrone comode, acqua o tisane, creare un ambiente accogliente. Il mio setting terapeutico è cambiato: ho cuscini, coperte, foulard. Osservo postura, gesti, e propongo ricalchi non verbali quando opportuno.
Con i pazienti che seguivo con un approccio più verbale, inizialmente ho trovato più difficile introdurre la corporeità. Ma grazie alla psicoeducazione, riesco a spiegare e autorizzare questo passaggio, che spesso porta a un contatto più diretto con i temi centrali della terapia.
Propongo spesso esperimenti corporei. Penso a una paziente che stava lavorando sulla prospettiva con cui guardare esperienze del passato. Abbiamo usato un oggetto simbolico e posizionato diverse sedute intorno ad esso. Spostandosi fisicamente, ha potuto ascoltarsi nei cambiamenti corporei e scoprire quale posizione le dava più agio. Questa esperienza le ha permesso di integrare la nuova consapevolezza nella sua vita.
Oggi sento di avere un accesso più profondo a ciò che sento, anche nei momenti difficili, e di potermi permettere di stare con quello che arriva. Questa capacità si riflette nella relazione terapeutica: posso stare con l’altro nella sua sofferenza, nella sua commozione, nella riscoperta delle risorse.
Tutto questo mi sta ispirando a progettare nuovi interventi di prevenzione e promozione del benessere, centrati sulle risorse corporee e sull’esplorazione di sé attraverso il corpo.
Un cammino in evoluzione
Sento di avere ancora strada da fare per incarnare pienamente l’approccio sensomotorio, ma sono convinta che quella che sto percorrendo sia oggi la più autentica e utile, per me e per le persone che accompagno.
Autrice: Dott.ssa Sara Stancari
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